Uno dei principali problemi sul tavolo della Regione Abruzzo in questo periodo di emergenza per la pandemia del COVID-19 è quello di come affrontare l’atipica stagione estiva 2020. Sarà un duro colpo per il turismo in generale e soprattutto per quello balneare. Il governo regionale non ha fatto mancare la sua attenzione al comparto dei balneatori con annunci fin troppo audaci, proponendo addirittura l’utilizzo delle spiagge libere per cercare di regolamentare il distanziamento sociale per gli effetti del Coronavirus. Capiamo le difficoltà degli operatori turistici per quanto riguarda gli aspetti economici d’impresa, ma osserviamo come sia evidente in questo frangente la poca consapevolezza delle priorità di questa fase storica, che va al di là della sola emergenza.
Qual è il motivo principale per cui esiste il turismo balneare? Non è forse il poter usufruire di un bene pubblico (la spiaggia e il mare) per il proprio benessere psico-fisico? È nota la salubrità per molti di respirare l’aerosol marino e di vivere lontano dall’inquinamento delle città. Da anni questo bisogno terapeutico è poi diventato una moda che ha portato, a braccetto col benessere economico, a un turismo di massa. Sono sorte così attività stagionali di successo, ma anche speculazioni edilizie e aggressioni incontrollate ai litorali. Cosa è rimasto del benessere tanto ricercato oggi? Per fortuna ancora molto, se in molte parti delle nostre coste il turismo ha retto nel tempo. Ma molti hanno dimenticato che negli anni è stato concesso sempre più demanio ai privati, compromettendo buona parte della naturalità della costa. Le aree costiere, già alterate dall’antropizzazione massiccia avvenuta nei decenni passati, oggi vanno perdendo anche quelle aree demaniali che sembrano aver smarrito sempre più il significato di beni inalienabili dello Stato, per diventare spazi in cui fruire servizi che hanno poco a vedere con il benessere sopra descritto se rendono nel tempo quasi invivibile il luogo in cui sorgono. Ma c’è da chiedersi anche: le conseguenze della crisi climatica e l’erosione costiera non sono altri problemi le cui conseguenze si cominciano a far sentire con insistenza? La tutela della biodiversità degli ecosistemi costieri come si concilia con la “monocoltura dell’ombrellone”, che esige il livellamento meccanico degli arenili, la rimozione delle sostanze organiche spiaggiate, la persecuzione di specie animali e vegetali in declino, strappando loro sempre maggiori spazi vitali per la produzione di “economie di scala”?
Chiudere gli occhi di fronte all’occasione di ripensare questo sistema turistico che può fornirci la crisi generata dal coronavirus vuol dire non saper cogliere le opportunità che la storia ci offre.
Prioritaria dovrebbe essere la sfida del recupero della naturalità dei luoghi, della qualità della vita dei residenti costieri, dell’ospitalità autentica di chi vive bene il proprio paese, della consapevolezza che la salvaguardia degli ecosistemi è vitale per il futuro dell’uomo in ogni angolo del pianeta.
In fondo è quello che come associazione promuoviamo con il progetto del “Cammino dell’Adriatico”: il turismo lento, in questo caso legato alla piena fruizione del percorso ciclopedonale lungo la costa adriatica, con attenzione ai valori storici e naturalistici dei luoghi, è uno dei modi per cambiare il punto di vista sulle cose e sul territorio.
La sfida auspicata dovrebbe avere una visione a lungo termine ed è sicuramente difficile da far digerire se non si sposa con politiche di alta levatura. A breve termine sono le aree protette che dovrebbero essere avanguardia di questo pensiero.
La prossima stagione estiva in una cittadina come Pineto, in cui è presente un’Area Marina Protetta, si concretizzerà con migliaia di ombrelloni o palme distanziati per tutta la costa? Con una pineta piena di tavolini e sedie come un unico grande ristorante a cielo aperto? Con spazi pubblici liberi ridotti in cui difficilmente riusciremmo a fare attività motoria e dove lo spazio per la natura sarà relegato a cornice non sostanziale? Con una complessa gestione dei rifiuti per l’inevitabile aumento di prodotti usa e getta? Questa è la vivibilità che vogliamo e l’unica soluzione che immaginiamo per una crisi economica (ed ecologica) evidentemente prodotta proprio da questo fallace modello di sviluppo?
Secondo noi per garantire la vivibilità si potrebbe partire con il chiudere al turismo di massa alcune zone dell’Area Marina Protetta Torre del Cerrano, tra queste la “zona B” di “riserva generale”, e renderle visitabili solamente da turisti accompagnati dagli operatori turistici locali.
È il momento della responsabilità civile, del distanziamento sociale, ma anche dell’opportunità di un “distanziamento ambientale” così che possiamo consapevolmente guardare al vero benessere fornito dai servizi ecosistemici e far sì, di conseguenza, che la natura possa essere davvero un attrattore per un autentico turismo sostenibile.